Dell’Arsenale di Venezia e delle sue incredibili capacità produttive si era stupito anche Dante Alighieri che, nel XXI canto dell’inferno scrive:
Quale nell’Arzanà dè Viniziani
Bolle l’inverno la tenace pece,
A rimpalmar li legni por non sani,
Che navicar non ponno e’n quella vece.
Chi fa suo legno nuovo e chi ristoppa ;
Le coste a quel, chi più viaggi fece :
Chi ribatte da proda, e chi da poppa,
Altri fa remi, e altri volge sarte ;
Chi terzeruolo e artimon rintoppa;
Tal, non per fuoco, ma per divin arte
Bollia laggiuso una pergola spessa
Che inviscava la ripa d’ogni parte.
Basti qui aggiungere un piccolo aneddoto, tratto dal libro “Venezia Enigma” di Alberto Toso Fei, pagina 119, secondo cui gli arsenalotti, gli operai che lavoravano nell’arsenale, erano in grado di completare una nave da guerra in una sola giornata di lavoro. A Enrico III di Francia bastò il tempo di partecipare ad un ricevimento, per vedere costruita e ultimata una galera Veneziana: pare che la Serenissima volesse mandare un implicito messaggio sulla sua potenza e sul livello di efficienza e di rapida organizzazione in caso di attacco o necessità. A quanto si sa, il messaggio fu inteso. Per altri versi, gli arsenalotti erano tenuti in così alta considerazione che erano le uniche persone, tra i non appartenenti al ceto nobiliare, cui era consentito di non inginocchiarsi davanti al Doge: erano considerati infatti la sua guardia personale. Di questo doppio filo tra San Marco e L’arsenale dev’essere rimasto qualcosa ancora oggi, visto che spetta ai Vigili del Fuoco normalmente di stanza all’Arsenale, l’onore di presiedere all’alza e ammaina bandiera in Piazza San Marco.