La Theriaca (o Teriaca) era uno dei preparati medicamentosi più in voga a Venezia, a metà strada tra il farmacologico e il magico
Sulla Salizada Pio X, che da Campo San Bartolomio conduce al Ponte di Rialto, all’altezza dell’anagrafico 3318 si può ancora vedere bene l’insegna che fu della storica farmacia “Alla Testa d’Oro”, oggi negozio di souvenirs.
Dietro la grande testa dorata, semicancellata dal tempo, si legge ciò che rimane di una vecchia insegna: “Theriaca Andromachi”. L’insegna di un’altra farmacia (alle due colonne in Campo San Canzian) recita ancora oggi “Teriaca Fina in Venezia”. La Theriaca (o Teriaca) era uno dei preparati medicamentosi più in voga a Venezia, a metà strada tra il farmacologico e il magico, le cui diverse ricette si sono succedute con le mode curative delle varie epoche: alla base almeno una sessantina di sostanze, non ultima carne essiccata di vipera. Nel 1760, proprio alla “Testa d’Oro”, la Triaca si dovette produrre più volte, per il gran consumo che se ne fece quell’anno: i facchini che pestavano gli ingredienti in certi mortai di bronzo, appena fuori dalla botteghe, portavano una caratteristica giubba bianchiccia, braghe rosse con sciarpa gialla e un berretto celeste e giallo con piuma rossa. Durante il lavoro, alternavano ai colpi di mazza un canto: “Per veleni, per flati ed altri mali – la Triaca gh’à el primo in ‘sti canali”. Il medicinale era così potente “da guarire dalla peste e preservare dalle malattie contagiose; da scacciare dal corpo gli umori malvagi, ridonando la quiete dello spirito; medicare le punture di scorpione e i morsi di vipera e di cane; liberare dalla tisi e dalle febbri; rischiarare la vista e sanare i mali dello stomaco”, e così via. I Veneziani appresero la ricetta dai Greci e dagli Arabi, ma divennero così abili a preparare il composto che gli stessi popoli del Medio Oriente, primi depositari dei segreti del Greco Andromaco, non prestarono fede ad altra Theriaca che a quella Veneziana. Oggi la Theriaca è scomparsa; ne rimane, appena visibile, il nome sopra la porta di una farmacia che non esiste più, e sull’insegna di un’altra. In campo Santo Stefano invece, all’altezza dei civici 2799 e 2800, è possibile vedere ancora alcune forme circolari scavate sul selciato dalla base dei mortai.
Sono passato centinaia di volte davanti all’insegna della storica farmacia “Alla Testa d’Oro”, durante uno dei miei Photo Tours, ma essendo la salizada invasa da bancarelle non avevo mai notato la testa d’oro e l’antica scritta. Un grazie quindi ad Albero Toso Fei per questo racconto, che potete trovare sul suo libro “Venezia Enigma”, edito da Elzeviro, a pagina 186.